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Riconversione ecologica del Polo industriale, Legambiente: “Occorre farlo in fretta”

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L’associazione ambientalista ha inoltre alcune proposte per superare questa situazione di stallo

“Cambiare o chiudere. Riconvertire le attuali produzioni inquinanti ai cicli produttivi più innovativi fondati sull’uso delle fonti rinnovabili oppure rimanere fermi ad  un modello industriale che non ha più futuro e che si sta spegnendo come una candela a fine vita.

È questa l’alternativa secca di fronte alla quale siamo tutti chiamati a compiere una scelta decisiva per il futuro di questa area industriale, istituzioni, industriali, sindacato e società civile”.

Con queste parole Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, ha concluso l’incontro di ieri organizzato dall’associazione ambientalista sui temi della riconversione ecologica delle industrie del siracusano al Centro anziani di Città Giardino a Melilli.

“Se vogliamo uscire dalla situazione attuale – ha precisato -la sola strada è quella di favorire l’innovazione energetica, ambientale e sociale, investire su formazione e ricerca.

E occorre farlo in fretta perché in termini di lotta alla crisi climatica, infatti, fare lentamente la transizione ecologica equivale a perdere, e chi ne farà le spese maggiori a breve termine saranno le fasce più deboli della società, a partire dalle lavoratrici e dai lavoratori del area petrolchimica in provincia di Siracusa”.

L’incontro è stato anche l’occasione per commentare la recente decisione di Versalis di sostituire l’impianto di etilene con la costruzione di una bioraffineria destinata alla produzione di biojet (combustibile sostenibile per l’aviazione, ndr) e di un impianto per il riciclo chimico della plastica.

Roberto Alosi, segretario generale della Cgil di Siracusa, ha espresso forte preoccupazione per le prospettive occupazionali delle circa 1400 persone che tra diretto e indotto lavorano nel comparto della chimica e per la tenuta dell’intera area industriale, a fronte di piani di investimento ancora non definiti e soprattutto considerato il discutibile comportamento passato di Eni in situazioni simili.

“Nonostante la narrazione dei governi nazionale e regionale sull’impegno ad attuare la transizione ecologica del Paese e sul ruolo fondamentale che in questo può giocare la Sicilia, di fatto la nostra Regione, insieme al resto del Mezzogiorno – come ha sottolineato Anita Astuto, responsabile Energia e Clima di Legambiente Sicilia – è passata dall’essere rappresentata come hub delle rinnovabili ad hub energetico del gas”.

Le fonti fossili, infatti, sono ancora estremamente centrali in Sicilia, nella produzione di elettricità, in quella di idrocarburi e come luogo di transito delle importazioni di gas.

L’unica strategia seguita dai governi nazionale e regionale, al momento, secondo quanto rappresentato dall’associazione ambientalista, è quella di difendere l’esistente, ricercando di volta in volta soluzioni emergenziali per consentire la sopravvivenza delle attività produttive dei vecchi poli industriali.

Come è avvenuto nella vicenda del depuratore consortile Ias di Priolo Gargallo (che tratta i reflui, dei “grandi utenti” come Isab, Sasol, Sonatrach, Versalis di ENI, oltre che i reflui civili dei Comuni di Priolo e Melilli) che, in seguito al sequestro operato dalla magistratura, dinanzi alla prospettiva di un blocco dei conferimenti da parte delle grandi aziende del petrolchimico, è stato autorizzato a operare grazie alla dichiarazione di interesse strategico quale infrastruttura necessaria ad assicurare la continuità produttiva degli stabilimenti di Isab.

La vicenda giudiziaria che ne è seguita è ancora lontana dall’essere risolta, come ha illustrato Paolo Tuttoilmondo, avvocato di Legambiente intervenuta come persona offesa nel procedimento penale per disastro ambientale promosso dalla Procura della Repubblica di Siracusa.

Secondo Tommaso Castronovo, presidente di Legambiente Sicilia, “le scelte industriali per i grandi poli siciliani sono un banco di prova della capacità del governo italiano e delle istituzioni regionali e locali di dotarsi finalmente di una politica industriale che guardi al futuro e di diversificare l’economia e le opportunità occupazionali di questi territori, garantendo alle ragazze e ai ragazzi siciliani di poter scegliere se rimanere a lavorare e vivere in Sicilia oppure andare nel centro nord Italia o all’estero.

Scelta che oggi non è garantita a nessuna e nessuno di loro. Ciò potrà avvenire soltanto puntando sulle opere, sugli impianti, sulle infrastrutture della transizione ecologica, contestualmente alla bonifica di questi territori”.

Come ha sottolineato nel suo intervento Cinzia Di Modica, del Comitato Stop Veleni, dopo decenni di inquinamento e in seguito ai numerosi incidenti che si sono verificati nella zona industriale, da ultimo quello della “pioggia oleosa” generata da un problema di funzionamento della colonna dell’impianto U100 (Topping) del sito Impianti Sud di Isab, occorre ricostruire un rapporto di fiducia tra industrie e popolazioni basato sulla trasparenza, la sicurezza e la giustizia.

Nel corso del dibattito che ne è seguito e nel quale sono intervenuti il presidente di Confindustria Siracusa, Reale, i deputati regionali Gilistro (M5S) e Spada (PD) e cittadini dell’area industriale, pur nella diversità di analisi, è emerso il comune auspicio di riconvertire, rivoluzionare e profondamente innovare il patrimonio tecnico e impiantistico del polo e di definire un concreto piano di azione condiviso per tutelarne la ricchezza umana con il suo sapere tecnico e scongiurare la desertificazione ambientale, industriale e sociale.

Il documento presentato da Legambiente nel corso dell’iniziativa contiene alcune proposte per superare questa situazione di stallo:

1)dichiarare strategiche le bonifiche dei siti Sin siciliani per permettere la riconversione ecologica di vaste aree da destinare ad aree di accelerazione per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili, come previsto dalla direttiva europea RED III

2)supportare con adeguate misure di accompagnamento al lavoro, la formazione di nuove e necessarie competenze, chiedendo al governo italiano di trovare le risorse economiche adeguate e all’Europa di estendere i benefici del Just Transition Fund, previsti ad oggi in Italia solo per il Sulcis in Sardegna e Taranto in Puglia;

3) riconvertire l’intero comparto industriale metalmeccanico dalle attività della filiera petrolifera a quella relativa all’assemblaggio degli impianti eolici offshore, ai servizi marittimi (rimorchiatori d’altura) di trasporto, installazione, manutenzione e vigilanza;

4) realizzare impianti industriali dell’economia circolare (produzione di compost e biometano, estrazione delle materie prime critiche dai rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, trattamento dei prodotti assorbenti per le persone, etc.) e impianti di produzione di idrogeno verde, prodotto da fonti rinnovabili, per abbattere le emissioni climalteranti dei cicli produttivi più energivori.

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