Sin dalla sua fondazione Siracusa godette della presenza di un ampio sistema portuale naturale che, dal punto di vista militare e commerciale, rappresentava un importantissimo vantaggio competitivo
In età tardo medioevale l’importanza del porto è testimoniata sia dalla presenza di numerosi cambiavalute sia dalla costruzione, da parte di Federico II, di due “fondaci regi” necessari ad immagazzinare le merci ma soprattutto a garantire una più efficace esazione della tassazione doganale.
Dal porto siracusano, provenienti dall’entroterra, venivano esportate grandi quantità di vettovaglie, che raggiungevano il Medio Oriente ed il Nord Africa da cui venivano importati spezie, coloranti per i tessuti e schiavi.
Tra la fine del Duecento e il secolo successivo, dapprima la necessità di insediare la dinastia aragonese sul trono siciliano, poi il lunghissimo scontro con le forze angioine intenzionate a riconquistare il regno, spinse i sovrani ad avviare un precoce processo di alienazione di beni demaniali e prerogative fiscali.
Tra queste rientravano anche i diritti doganali sul porto di Siracusa che, agli inizi del XIV secolo, risultano riscossi dal notaio Giovanni Marrasi.
Sappiamo di questa concessione da un documento del 1339 con cui i diritti già goduti dal Marrasi venivano trasferiti a Giovanni Teutonico, elemosiniere della regina Elisabetta.
Nel 1356 tali diritti dovevano essere già considerati alla stregua di un bene feudale poiché, alla morte del Teutonico, furono trasferiti ai suoi figli Macalda, Berardo e Tommasa.
Non sappiamo se i tre fratelli rinunciarono o cedettero i loro diritti tuttavia, l’anno successivo, la gabella della dogana era certamente ritornata nelle disponibilità della corona che nominò Branca de Sicco credenziere della gabella della dogana con un salario di 3 onze annue.
Nel 1365 la “gabella della dogana del mare e di terra di Siracusa” venne infeudata a vita al notaio Perrono Iuvenio che, dal 1352, ricopriva la carica di protonotaro del regno. Nel 1374, essendo state assegnate tutte le gabelle regie di Siracusa alla regina Antonia, il re revocava la concessione allo Iuvenio cosicché da allora i diritti della dogana del porto non vennero più concessi in feudo ma assegnati in gabella a privati o gestiti in credenzeria da ufficiali regi. (A. Marrone, Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno di Sicilia, 2012)
Intanto emergeva l’influenza di Giacomo Alagona, dal 1363 capitano a vita di Siracusa, che di fatto governava la città come fosse una sua signoria personale e che aveva costruito una struttura fortificata denominata “Casanova”, nei pressi dell’attuale Riva delle Poste e un pontile nel porto grande.
Dato che tali costruzioni rientravano tra le prerogative sovrane dapprima il re ordinò la demolizione delle opere costruite abusivamente, tuttavia successivamente si preferì raggiungere un compromesso in modo che né l’Alagona né la Corona perdessero la faccia.
Si pervenne così ad una sorta di “sanatoria ante litteram” con cui autorizzandosi la costruzione delle opere (in realtà già realizzate) si incameravano di fatto al demanio per poi concederle in feudo allo stesso Alagona ed ai suoi eredi. Nello stesso periodo anche i pontili dei porti di Mazzara, Sciacca, Agrigento e Termini furono concessi in feudo.
Dopo la morte di Federico IV, cosi benigno nei suoi confronti, l’Alagona si ribellò contro il nuovo re che dapprima gli confiscò i suoi possedimenti e poi, nel 1393, lo fece decapitare. Da allora il forte Casanavova fu gestito come un castello regio mentre i diritti feudali sul pontile del porto furono assegnati a Giacomo del Colle (G.L. Barberi, I Capibrevi, Vol. I, 1879) Nel 1399 il “feudo del ponte del porto di Siracusa” fu acquistato da Giacomo Arezzo per poi passare, agli inizi del XVI secolo, a Niccolò Cannarella, giudice della Gran Corte del Regno.
I Cannarella s’investirono di questo feudo per oltre tre secoli, (Arch. di Stato di Palermo, Repertorio del Protonotaro della Camera Reginale, 2018) con l’abolizione del regime feudale nel 1812, si pose il problema di liberare il porto da tale anacronistica condizione.
Finalmente una disposizione del 1819, in cambio di un risarcimento in denaro, stabiliva la soppressione di tale tipo di diritti feudali cosi Domenico Cannarella, marchese di Scuderi, nel 1828 chiese la liquidazione del compenso previsto.
Le cose andarono però per le lunghe finché il 26 agosto 1843 la “gran corte dei conti delegata pei compensamenti”, non ritrovandosi prova di una originaria concessione onerosa a carico di Giacomo del Colle, da cui discendevano i diritti esercitati lungamente dai Cannarella, deliberò di respingere definitivamente la richiesta di compenso.
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