Quando nel 1615 Giuseppe Bonanno acquistò dai Branciforte il feudo di Carancino, su di un cocuzzolo roccioso, vi trovò un eremitaggio dell’ordine di S. Agostino.
Nel 1627, avviate le procedure per ottenere la licentia populandi che gli avrebbe consentito di popolare il suo feudo, il barone Bonanno richiese al padre provinciale degli Agostiniani di poter trasformare l’eremitaggio in un vero e proprio convento, avente anche funzione di parrocchia.
Il feudatario nella sua richiesta, oltre ad impegnarsi a costruire la nuova chiesa, si obbligava a riconoscere ai monaci una rendita annua di ben 40 Onze e numerosi generi alimentari, tra cui una rilevante quantità di mosto al tempo della vendemmia.
Viste le favorevoli condizioni l’assenso del superiore degli agostiniani non si fece attendere cosi come, il 28 Marzo 1630, il riconoscimento in parrocchia del nuovo convento, dedicato al culto di Maria Consolatrice.
Il convento-parrocchia, che secondo il progetto di sviluppo urbano voluto dal feudatario, fu costruito ex novo all’interno del paese (l’attuale chiesa parrocchiale di Belvedere) e secondo le consuetudini del tempo fungeva anche da cimitero.
I membri della famiglia feudale venivano tumulati all’interno stesso della chiesa, ai piedi dell’altare, mentre gli abitanti di Belvedere erano sepolti in un’area annessa al luogo di culto. Dopo soli otto anni dal loro insediamento nel nuovo centro, gli Agostiniani lasciarono però Belvedere. Le cause che spinsero i monaci a ritirarsi ci sono ignote, tuttavia è certo che a partire dal 1638, e fino alla metà del XIX secolo, i Bonanno affidarono il “beneficio parrocchiale” di Belvedere a sacerdoti secolari da loro scelti.
L’antico eremitaggio agostiniano continuò però ad essere utilizzato, la presenza di eremiti a “Monte Calvario” è attestata nei registri parrocchiali di Belvedere per tutto il XVIII secolo, essendo questi gli unici sacerdoti disponibili a celebrare gratuitamente i funerali dei “naturali di Belvedere morti in miserabili condizioni”.
Dopo l’abolizione del regime feudale, sulla scia delle norme varate dai governi napoleonidi che obbligavano il seppellimento dei cadaveri all’esterno della cinta urbana, s’impose la necessità di ricercare un nuovo sito dove procedere alla sepoltura dei defunti, la scelta cadde proprio sull’eremitaggio, oramai abbandonato.
Il progetto di trasformazione, affidato all’ingegnere Ignazio Giarrusso fu presentato il 15 Novembre 1839. Per la sistemazione della cappelletta già esistente, lo scavo di otto fosse per le sepolture e la realizzazione del muro di cinta e del cancello d’ingresso fu redatto un progetto che prevedeva una spesa di 693 Lire e 33 centesimi.
L’eletto di Belvedere, Paolo Sammatrice, in una sua nota del 6 Febbraio 1840 al Sindaco di Siracusa, si faceva portavoce della viva opposizione degli abitanti di Belvedere a rinunciare all’uso di seppellire i morti all’interno della chiesa parrocchiale: “La piccola cappella che nell’eremo si conserva e interdetta da lunghi anni dopoichè il proprietario del terreno in cui questa si ritrova l’usa a riporvi della paglia e del fieno, e a mangiatoia per bestie da carico e da pascolo”.
L’esposto di Sammatrice non ebbe però effetto alcuno, l’intendente della provincia di Noto (a seguito dei moti rivoluzionari del 1836 Noto era stata innalzata a capoluogo di provincia), il barone di Montenero, intimò infatti al sindaco di procedere senza indugi “qualunque siano i rapporti dell’eletto di Belvedere” essendo questi “solo dei pretesti per non far chiudere le sepolture della chiesa entro l’abitato”
Già il 20 Febbraio del 1840 fu cosi dato inizio ai lavori per la realizzazione del muro di cinta e di sole due sepolture. Sei giorni dopo il sindaco di Siracusa, il cavaliere Vincenzo Cardona, ordinava all’eletto di Belvedere di: “chiudere a gesso e colmare le sepolture esistenti dentro l’abitato”.
L’appalto, ammontante a 270 Lire fu affidato a Giuseppe Margherita, che si avvaleva del lavoro di nove operai, l’appaltatore era obbligato a redigere rapporti quindicinali sullo stato dei lavori.
Il 19 Giugno dello stesso anno i lavori furono portati a compimento con una spesa inferiore al previsto di circa 54 Lire, l’indomani l’intendente di Noto scriveva al vescovado affinché venisse benedetto il nuovo camposanto.
Nel verbale redatto dall’eletto di Belvedere, in merito alla benedizione effettuata dal parroco don Pasquale Miceli il 9 Luglio, appare ancora chiara la pervicace contrarietà dei Belvederesi al nuovo cimitero alcune domande a dir poco pretestuose appaiono cosi emblematiche della situazione:
1) Chi deve trattenere le chiavi del Campo Santo e chi deve essere il custode ?
2) Chi dovrà trasportare i cadaveri sino a quel punto, e chi deve sotterrarli ?
3) Con quale mezzo di trasporto ?
4) Infine per riguardo al colmare di gesso le sepolture di questa chiesa di quali mezzi devo servirmi ? “Essa sa che qui non abbiamo alcuna somma disponibile e perciò non possiamo effettuare”.
L’epilogo della vicenda del nuovo cimitero di Belvedere appare alquanto macabro, confermando forse la fondatezza dell’opposizione dei Belvederesi.
Il 28 Novembre del 1840 da una comunicazione dell’eletto di Belvedere al sindaco di Siracusa appare una mal celata nota di sfottò nei confronti di coloro che avevano così pressantemente voluto il nuovo cimitero: “Signore ! Un grave inconveniente per effetto di pioggie si è apprisentato in questo Campo Santo… Una delle sepolture trovasi colma in palmi due circa di acqua cosicché i cadaveri risultano galleggianti”
Un canale di gronda, realizzato da lì a pochi mesi, consentì di superare il problema dell’allagamento delle sepolture e con il trascorrere degli anni anche i più fervidi oppositori delle nuove norme accettarono le tanto deprecate disposizioni. Il 28 Novembre 1847, anche una famiglia in forte ascesa sociale come i Cocuzza, chiesero di poter realizzare una “sepoltura gentilizia” nel nuovo cimitero di Belvedere
di Marco Moterosso
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