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Siracusa: quando abbiamo riscoperto di essere greci

di Marco Monterosso
Siracusa

Se i siracusani sono oggi consapevoli del loro glorioso passato magnogreco, al punto che le antiche vestigia di quel periodo rappresentano ormai una sorta di “il biglietto da visita” della nostra citta, è da dire che per lunghissimo tempo di questa identità se ne era praticamente persa traccia

Infatti per almeno sette secoli, grossomodo dal IX agli albori del XVI secolo, la costruzione dell’identità cittadina non sembra passare da una riappropriazione del proprio passato quanto piuttosto da un progressivo processo di competizione, su basi economiche, istituzionali e demografiche, con le altre città siciliane che di fatto avevano scalzato Siracusa dal suo ruolo di centro principale dell’isola.

Se la profonda marginalità della città dopo la feroce conquista araba perdurava ancora alla vigilia dell’invasione sveva, quando la città è descritta come “spopolata e con le mura in rovina”, (Ugo Falcando, Epistola ad Petrum, fl. XII sec.) il contesto economico locale sembra ricevere un primo impulso positivo solo a partire dagli anni ’30 del XIII secolo, quando Federico II avvia in città i lavori di costruzione di un fondaco regio.

Il successivo avvio dei lavori del castello Maniace, la concessione in censo ad alcuni borghesi di terre demaniali per impiantarvi vigneti e l’inviò di rappresentanti al parlamento di Foggia del 1240, sembrano dimostrare, non solo un aumento dei consumi e degli scambi, ma anche una ritrovata dinamicità. Ma è solo con l’attiva partecipazione dei siracusani ai fatti del Vespro che la città poté rientrare a pieno titolo all’interno dello scenario politico isolano oramai egemonizzato da Palermo, capitale formale dell’isola, e da Messina, principale centro economico siciliano.

Nonostante l’ottenimento di importanti prerogative ed immunità, specie in campo fiscale e di autogoverno, nel corso del Trecento Siracusa continuerà a perdere posizioni anche rispetto Catania, scelta dai primi sovrani aragonesi come luogo abituale della loro residenza.

Specie tra Tre e Quattrocento la città prova così a costruire la sua identità lungo due direttrici principali: attraverso un simbiotico rapporto con il mare che ne faceva, dal punto di vista economico, un importante snodo commerciale e, da quello politico-istituzionale, attraverso il suo status di “capitale” della Camera reginale.

Una prima testimonianza che attesta l’uso della memoria storica a fini rivendicatori risale già al 1395 quando in una supplica inviata a re Martino gli ufficiali cittadini, chiedendo (invero sul modello di quanto già ottenuto da Palermo e Catania) che il baiulo fosse sostituito da un Senatore, dichiaravano esplicitamente di volersi differenziare dal governo di centri meno prestigiosi, rimarcano l’illustre passato di antica metropoli bizantina.

(P. Corrao, Le città siciliane del tardo medioevo: Identità urbana, élites dirigenti, dinamiche istituzionali, 2020) Anche se si tratta dell’unico caso conosciuto, tale documento sembra attestare che la classe dirigente cittadina, già alla fine del XIV secolo, appare consapevole dell’incapacità di rimontare posizioni esclusivamente su basi competitive.

Siracusa: quando abbiamo riscoperto di essere greciNei primi decenni del Cinquecento invece, quando Siracusa deve difendersi dai continui attacchi degli altri centri della Camera reginale che ne chiedevano a gran voce l’abolizione e dalla forte ripresa dell’antagonismo tra città demaniali che cercano di guadagnarsi un’interlocuzione privilegiata con la corona, avvia una sostanziale revisione della propria strategia rivendicando le ragioni di una supremazia e di una superiorità che trovavano nel passato della città la loro principale ragione d’essere.  L’iniziativa si deve al vescovo Ludovico Platamone, il più insigne esponente dell’élite urbana del tempo, il quale favori la pubblicazione di un’opera di Cristoforo Scobar intitolata De rebus praeclaris Syracusanis.  Nato nel 1460 in Andalusia, lo Scobar verso il 1490 si trasferì a Roma e da qui a Messina. Nel 1508 divenne cappellano di corte a Palermo, nel 1515 fu canonico ad Agrigento e nel 1518 lo stesso Platamone lo volle a Siracusa.  La sua presenza come insegnante è attestata oltreché a Siracusa anche a Lentini, Caltagirone e Noto, dove creò un dotto cenacolo di discepoli. Nel 1519 pubblicò un dizionario bilingue siciliano-latino e l’anno successivo un dizionario trilingue latino-spagnolo-siciliano, forse la sua opera più conosciuta, dedicato al governatore della Camera reginale Almerigo Centelles. (D. Barbera, Il De rebus praeclaris syracusanis di Lucio Cristoforo Scobar, 2000)

L’opera su Siracusa contiene anche due elenchi: quello dei letterati illustri e quello dei vescovi, da Marziano al Platamone. Basata sulle testimonianze dei classici greci e romani, – vi sono citati: Tucidide, Dionigi di Alicarnasso, Strabone, Filisto Siracusano, Eusebio, Svetonio, Senofonte, Cicerone, Tito Livio, Polibio, e tra i “moderni” Annio Viterbese e Lorenzo Valla – rappresenta la prima ricostruzione della storia antica della città. Nello scritto compaiono alcuni elementi caratteristici che saranno poi ripresi da tutti gli autori successivi di storia siracusana: la fondazione ad opera del corinzio Archia e la sua discendenza da Ercole, il primo nucleo raccoltosi sull’Isola di Ortigia, la forza e la potenza del suo esercito, capace di sconfiggere quello ateniese.

Ma ciò che lo Scobar ribadisce più volte e con più insistenza sono le ragioni del “primato” della città aretusea derivante dall’antichità della sua fondazione, che precede tutte le altre città siciliane e la stessa Roma cui dovette soccombere solo grazie al tradimento, in questo accomunata con il destino di Troia.

Ragioni d’orgoglio che fanno ribadire più volte allo storico spagnolo, che “Syracusas esse totius Siciliae caput”.

(F. F. Gallo, Luigi Cristoforo Scobar. Un umanista spagnolo nella Sicilia del ‘500, 2019)

In copertina: Gorgone, al Museo archeologico regionale di Siracusa “Paolo Orsi”, foto di Carlomorino

di Marco Monterosso

 

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