Secondo Rocco Pirri, il convento di San Domenico di Augusta fu fondato da Reginaldo d'Orléans, qualche anno dopo il riconoscimento canonico dell’Ordine dei frati predicatori (Domenicani) del gennaio 1217
Secondo Rocco Pirri, il convento di San Domenico di Augusta fu fondato da Reginaldo d’Orléans, qualche anno dopo il riconoscimento canonico dell’Ordine dei frati predicatori (Domenicani) del gennaio 1217.
La sua fondazione durante il regno di Federico II sarebbe confermata da un elenco cronologico di conventi domenicani siciliani, stilato nel 1304 da Bernardo Gui (il cattivo del “Nome della Rosa”), in cui il monastero di Augusta è citato dopo quelli di Messina e Piazza Armerina. (C. Longo, La fondazione del convento domenicano di Augusta, 1992)
Non conosciamo praticamente nulla sul convento di San Domenico durante i primi secoli della sua esistenza né sul suo aspetto né sul ruolo che giocò durante i caotici regni dei primi sovrani Aragonesi, quando la città era in potere dei Moncada.
Una prima notizia sul convento risale infatti solo alla seconda metà del XV secolo, quando al suo interno fu posto il sarcofago funebre del conte di Augusta Sancio Landogna, purtroppo andato distrutto alla fine degli anni Cinquanta. (Foto tratta da: https://www.augusta-framacamo.net).
L’importante ruolo svolto dalla comunità monastica in città fu riconosciuto nel 1516 quando San Domenico fu proclamato patrono e protettore di Augusta.
La sua solennità viene festeggiata ancora oggi il 24 maggio, in ricordo della cacciata dei turchi, grazie ad un intervento miracoloso del santo, negli stessi giorni del 1594.
La chiesa attuale è il frutto degli innumerevoli rimaneggiamenti e ricostruzioni cui fu sottoposta sin dal XVI secolo.
Gravemente danneggiata dal terremoto del 1542 e poi incendiata da forze ottomane sbarcate in città nel 1551, la chiesa fu oggetto di lavori di restauro e di ampliamento che si prolungarono per quasi mezzo secolo, ad opera dell’augustano fra’ Salvatore Tringali.
Rasa al suolo dal terremoto del 1693 fu oggetto di rapidi lavori di ricostruzione per essere poi ancora una volta danneggiata dal sisma del 1848 cosicché l’attuale chiesa in stile neoclassico è il prodotto di lavori di rifacimento, affidati all’ingegnere Luciano Ferraguto, solo nel 1876.
La facciata in stile neoclassico, presenta ai lati pilastri adornati di lesene a cui si accostano due semicolonne sormontate da capitelli in ordine corinzio.
La torre campanaria, sulla parte destra, è a pianta quadrangolare. Suddivisa su tre piani vi sono delle aperture con balaustre. In cima alla torre ci sono quattro gugliette con al centro una calotta sferica sorretta da una trabeazione.
L’interno si presenta ad unica navata con vestibolo è suddivisa per ogni lato da cinque archi con colonne di ordine corinzio. Una balaustra in marmo separa l’altare maggiore dalla navata con due gradini.
In realtà l’istituzione cominciò a tramontare già agli inizi dell’Ottocento quando si assiste ad un progressivo abbandono dei religiosi verso la sede domenicana di Lentini cosicché numerosi ambienti cominciarono ad essere destinati ad alloggi per i soldati e come depositi delle attrezzature dell’artiglieria inglese.
Dopo l’Unità d’Italia il convento fu confiscato da parte dello stato e utilizzato come sede di diverse attività pubbliche: uffici della Pretura, Ufficio Telegrafico, Ufficio del Registro, Ufficio del Demanio. (https://fondoambiente.it) Fino ai primi anni settanta del Novecento era sede di alcune scuole cittadine, finché fu abbandonato per cadere vittima da allora di ripetuti atti di vandalismo.
Con i fondi del sisma del 1990 sono state eseguite diverse opere di consolidamento strutturale e di ristrutturazione delle coperture, ma il blocco dei lavori nel 2010 ha impedito di completare i lavori cosicché l’immobile rimane da allora bisognevole di ulteriori lavori di recupero edilizio e impiantistico.
In realtà le vicende del convento di San Domenico, oggi di proprietà comunale, rappresentano in maniera evidente l’incapacità degli enti pubblici locali di “avere cura”, dopo oltre un secolo, del grande patrimonio proveniente dalle confische di fine Ottocento.
Strutture che, oltre a rappresentare una preziosa testimonianza dell’identità cittadina, se inserite all’interno di un piano strategico di tutela e rese fruibili, sarebbero di grande giovamento per le nostre comunità.
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