Il Gip di Catania su richiesta della Dda, ha disposto misure cautelari personali e reali nei confronti di 16 persone
Avrebbero realizzato un sofisticato sistema di frode fiscale su scala nazionale con regia unica su Catania abusando dei vantaggi normativi in tema di “distacco di personale” previsti per i contratti di “rete tra imprese”.
Da qui, dalle prime ore di questa mattina, oltre 140 finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza etnea, stanno eseguendo, nelle province di Catania, Siracusa, Ragusa, Enna, Palermo, Milano, Brescia, Roma e Pesaro, due ordinanze, concernenti complessivamente 33 indagati, con cui il Gip presso il Tribunale etneo, su richiesta della Procura della Repubblica di Catania – Direzione Distrettuale Antimafia, ha disposto misure cautelari personali e reali nei confronti di 16 persone.
I reati a vario titolo contestati sono: associazione a delinquere, emissione di fatture per operazioni inesistenti, infedele dichiarazione dei redditi, dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, omesso versamento di ritenute previdenziali e di iva, autoriciclaggio e riciclaggio di denaro di origine illecita.
Il sistema di frode sarebbe stato alimentato dalla creazione di ben 14 reti di impresa, di cui avrebbero fatto parte 37 società con funzione di “distaccanti”, operanti in molteplici località del territorio nazionale, e 439 imprese “distaccatarie” dislocate in tutto il Paese (Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), utilizzatrici di personale in posizione di distacco.
Nell’ambito di tali reti, caratterizzate da una regia unitaria in Catania, le società capofila avrebbero agito da “serbatoi di manodopera” e sarebbero state organizzate secondo le esigenze gestionali del “sistema”, il cui core business si sarebbe limitato esclusivamente a consentire il distacco dei lavoratori a scopo di lucro nei confronti di 439 società retiste o distaccatarie.
Dopo avere accumulato un debito tributario e contributivo significativo, sarebbero state sistematicamente poste in liquidazione e sostituite da altre società che avrebbero assorbito i medesimi lavoratori, posti nuovamente in distacco a favore della stessa impresa beneficiaria.
Un ruolo centrale nella realizzazione delle condotte delittuose sarebbe stato svolto da un soggetto di origini agrigentine ma residente a Catania, che si sarebbe avvalso di due studi di consulenza operanti nella città etnea,
uno legale e uno amministrativo.
Nel dettaglio, l’associazione a delinquere vedrebbe il principale indagato nella veste di capo e promotore, l’avvocato dello studio legale quale promotore ed organizzatore e ulteriori 14 soggetti, in qualità di membri, con ruoli gestori dei profili operativi e amministrativi delle reti di imprese.
Sotto la direzione del promotore del sodalizio e dei suoi collaboratori, le società caporetiste o fondatrici delle diverse reti di imprese succedutesi nel tempo avrebbero emesso FOI caricandosi di importanti debiti Iva, destinati a non essere onorati, consentendo a centinaia di società utilizzatrici della manodopera di ottenere un duplice vantaggio.
Il primo è quesllo di incrementare la flessibilità aziendale, essendosi spogliate della gestione formale dei propri lavoratori dipendenti; il secondo è quello di ridurre i costi del lavoro subordinato, potendo contare su un onere per il servizio di erogazione di personale in distacco più economico rispetto a quello da sostenere con assunzioni in proprio, tenuto conto anche della possibilità di portare in detrazione l’iva applicata alle fatture emesse dalle società distaccanti.
Per gli organizzatori del sistema di frode, i guadagni illeciti sarebbero derivati dalla presentazione di dichiarazioni dei redditi infedeli e fraudolente per le società coinvolte nella frode e dalla sistematica omissione dei versamenti delle ritenute previdenziali dei lavoratori e dell’Iva incassata sulle FOI emesse.
I “numeri” del sistema fraudolento darebbero contezza della vastità del fenomeno, atteso che, in soli 5 anni, il fatturato delle società gestite dal principale indagato avrebbe raggiunto oltre 61 milioni di euro, a fronte del quale sarebbe stato calcolato il mancato versamento di imposte e contributi dovuti per circa 25 milioni.
I proventi di natura illecita sarebbero stati in parte reimpiegati verso specifiche società, in parte dirottati a favore del promotore del sodalizio e di altri indagati, per assicurarsi un tenore di vita molto elevato e per l’acquisto, in diverse occasioni, di beni rifugio o di lusso per 270 mila euro.
Per il riciclaggio dei proventi illeciti sarebbero inoltre emerse due peculiari figure romane prive di capacità
reddituale, le quali avrebbero consegnato in plurime occasioni contanti di rilevante importo, ritenuti di provenienza illecita, al principale indagato per poi emettere, nella veste di amministratori di fatto di 3 società romane, fatture nei confronti delle imprese facenti capo di fatto allo stesso promotore.
Quest’ultimo, poi, avrebbe effettuato bonifici alle aziende romane a saldo delle fatture per un importo complessivo di 8,7 milioni, consentendo ai soggetti capitolini di rientrare in possesso del denaro consegnato.
Il Gip etneo ha pertanto disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di 5 persone, gli arresti domiciliari per 7 indagati e l’obbligo di presentazione alla p.g. per ulteriori 4 persone.
Disposto anche il sequestro delle quote di 37 società, di disponibilità finanziarie, di beni mobili ed immobili
riconducibili ai destinatari della misura per un valore totale di circa 29 milioni.
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