L’arrivo dei frati Cappuccini a Siracusa, nel 1549, si deve ad uno dei “più convinti artefici dello spirito controriformistico in Sicilia” il vescovo Girolamo Beccadelli-Bologna (1541-1560). Il Bologna, francescano egli stesso e rappresentante del clero siciliano al Concilio di Trento, accolse infatti quei frati, proprio tra la prima e la seconda fase del concilio, spinto dall’esigenza di garantire un apostolato più vicino alla comunità cittadina
Un apostolato di prossimità di cui tra l’altro la città aveva bisogno anche in chiave materiale essendo ancora provata, soprattutto nelle sue fasce più deboli, dalla ripresa negli anni Venti del morbo pestifero e dai danni inferti dal terremoto del 1542.
La città a quel tempo viveva tra l’altro anche un profondo rimescolamento delle dinamiche politiche e sociali che fino ad allora l’avevano caratterizzata poiché, dopo l’abolizione della Camera reginale nel 1537, è costretta a ridefinire il suo assetto istituzionale e conseguenzialmente il ruolo giocato in questo contesto dal patriziato cittadino, anche in relazione ai rapporti con l’autorità vescovile.
Nonostante i timori per le conseguenze dell’abolizione della Camera e i danni inferti dalle calamità naturali della prima metà del secolo la città registra, almeno fino agli settanta del Cinquecento, un significativo periodo di crescita economica, di espansione demografica e di incremento produttivo che consente una vera e propria “ridefinizione degli spazi sacri all’interno della città”. (F. Gallo, Siracusa Barocca. Politica e cultura nell’età spagnola, 2008)
Rinnovamento incarnato proprio dai Cappuccini che ottengono dal vescovo Bologna la chiesa di Santa Maria della Misericordia, posta nei pressi dell’anfiteatro romano. Secondo Nunzio Agnello la prima pietra del convento costruito dai Cappuccini a Siracusa, adiacente la chiesa di S. Maria della Misericordia, fu posta dal viceré Juan de Vega. (N. Agnello, Il monachismo in Siracusa.
Cenni storici degli ordini religiosi soppressi, 1891) Seppur la notizia non trova ulteriori riscontri, se confermata, dimostrerebbe gli stretti rapporti dell’ordine, sin dalle sue origini, con il più importante “portatore della religiosità controriformistica” in Sicilia.
L’operazione del vescovo, e probabilmente dello stesso viceré, appare di successo poiché i Cappuccini, che si caratterizzano per il rifiuto del possesso immobiliare e per la particolare vicinanza dei suoi membri con la vita del popolo, diventano presto “una voce fondamentale della vita associativa”. Secondo Serafino Privitera (Storia di Siracusa antica e moderna, Vol. 2, 1879)
I Cappuccini, con quel ruvido sacco di lana cinto ai lombi di corda, con quell’esteriore venerando, mansueto, penitente, con quel professare una vita di povertà e di privazioni, mendicando per Cristo, edificavano il popolo, specialmente quei della campagna, cui ispirando sensi di mansuetudine e di religione, ne cattivavano la stima ed il rispetto.
In poco meno di un quarantennio i Cappuccini contavano nell’Isola già 50 conventi e circa 3.800 frati cosicché il capitolo generale del 1573, considerando difficile, in quelle condizioni, assicurare un corretto governo dei frati, stabilì la divisione dell’Isola in tre distinte province, corrispondenti ai tre Valli in cui era divisa amministrativamente la Sicilia.
La provincia Palermitana (Val di Mazara) ebbe assegnati 18 conventi, 17 li ebbe quella Messinese (Val Demone) e 16 quella Siracusana (Val di Noto).
Il prestigio e l’importante ruolo giocato dai Cappuccini nel tessuto sociale delle città in cui si insediavano sono evidenti anche a Siracusa dove, nel 1574, il Senato scelse proprio un frate dell’Ordine per una missione politica alla corte spagnola. Nel 1582 il Senato provvide poi, a proprie spese, alla costruzione di un nuovo convento lungo la costa a nord della città, nei pressi della latomia allora detta del Palombino.
Nel Seicento la provincia religiosa, che aveva giurisdizione anche sull’isola di Malta, assurse a rango di protagonista in seno all’Ordine, tanto che in meno di cinquant’anni tre suoi frati furono chiamati a svolgere il ruolo di Ministri Generali: Clemente Di Lorenzo da Noto (1618-1625), Giammaria Minniti da Noto (1625-1631) e Innocenzo Marcinò da Caltagirone (1643-1650). Nel 1866, a seguito della soppressione degli ordini religiosi, i Cappuccini dovettero abbandonare il loro convento che fu variamente utilizzato come osteria, sanatorio e ospizio.
I frati fecero ritorno in città nel 1919, accolti in un ospizio predisposto dal vescovo Bignami finché, nel 1931, rientrarono in possesso dell’antico convento in cui, ancora oggi, svolgono il loro apostolato.
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