Questa è una storia che non troverete fra le cronache reali. E’ una storia inventata, una colossale bufala, le chiamano fake-news ultimamente. Al tempo: è una storia che è tutto ciò, ma fino a questo istante, finché l’ultimo tasto del mio vetusto PC non verrà pigiato, finché la casella elettronica di Siracusa post non avrà avviluppato queste righe, finché il click del tasto di invio del computer madre non risuonerà. Da quel momento in poi il trascendente, l’immanente, il contingente, l’incombente ed altre cose che finiscono in –ente, avranno il turno delle carte e tutto potrà essere.
I due amici passeggiano a braccetto per via Picherali, con l’incedere lento di chi si gode appieno il tempo disponibile. Il sole autunnale siracusano sembra scandire i tempi dell’amichevole camminata, rivelandosi e poi negandosi dietro il corpo disordinato delle nuvole.
“Caro Onorevole, lei è l’ultimo dei grandi vecchi, è a lei che voglio rivolgermi per cercare di dipanare le nebbie che negli ultimi tempi annebbiano il mio cervello.”
“Caro Sindaco, sono qui per questo, disponi di me come meglio credi.”
“Ultimamente sento di non godere del sostegno dei miei concittadini, qualunque cosa faccia pare ritorcersi contro di me.”
L’Onorevole chiude lentamente le palpebre e poi le riapre. Dovrà ricorrere al dono del giudizio del buon padre di famiglia che istruisce il figlio inesperiente sulle fondamentali dinamiche della vita, ma dovrà utilizzare le giuste parole.
“Sindaco, la verità è che i cambiamenti e le novità terrorizzano noi siracusani. Per non parlare delle rivoluzioni. Tu, caro Sindaco, qualche rivoluzione l’hai fatta, ma a me ed a quel fessacchiotto che un giorno – forse – stenderà su carta questa conversazione inventata, non interessa dare pagelle. Io non sono qui per giudicare, ma una cosa voglio dirtela: sei stato ingenuotto.”
L’Onorevole, come da copione, decide per una sospensione della loquela. Secondo le consolidate e mai tramontate strategie del codice neurolinguistico democristiano, ciò ha la duplice funzione di lasciare il tempo all’interlocutore di assorbire il colpo senza palesarlo, e soprattutto di ammantare di solennità il pensiero espresso.
“Sindaco, finché il tuo obiettivo sarà quello di farti amare da tutti, non riuscirai a sottrarti alle grinfie della critica feroce. Il tuo fine non dev’essere quello di passare alla storia come il sindaco più buono e neanche il più fattivo, l’abilità è di colui che sa temporeggiare. C’è un modo e c’è un tempo per quasi tutte le cose, di solito.”
La Fonte Aretusa, nel frattempo, svela ai due passeggiatori la sua giunonica avvenenza, con la consumata lascivia di una maliarda impenitente.
“Pronuncerò una sola parola: provvisorio. Provvisorio! E’ la panacea di tutti i sindaci, assessori, deputati e presidenti di fondamentali consulte civiche. Provvisorio, Sindaco. Che poi, qui da noi, niente è più definitivo di ciò che è provvisorio, particolarmente nella politica. La nostra arte di rimandare sine die ciò che è scomodo o faticoso ci rende molto invidiati nel mondo. Ecco perché provvisoriamente non è semplicemente un avverbio, ma una regola di vita che, se ben applicata, preserva dallo stress e dalle malattie psicosomatiche.”
“Onorevole, lei sta quindi affermando che…”
“Quante bustine di malox prendi al giorno?”
“…sei.”
“Caro amico mio, per salvarti tu devi applicare la legge dello sciruccatu, come facciamo tutti.”
“Sciruccatu?”
L’Onorevole cambia tono arrestandosi di botto.
“Sindaco, è l’ABC! Noi siracusani sappiamo bene quale può essere l’effetto del vento di scirocco sugli esseri umani. Dato che il vento prevalente a Siracusa è lo scirocco, qualsiasi siracusano, prima di essere qualsiasi altra cosa, è sciroccato, poco o molto. Chi è sciroccato cerca di risparmiare energie anche economizzando il fiato, oltre che il gesto. Il che non toglie che anche da sciroccati si possano compiere grandi imprese, dal legarsi le scarpe a pigiare un tasto del telecomando, ma bisogna proprio esserci costretti, dato che lo stato normale dello sciroccato è lo stare sdraiati sul divano ad attendere che arrivi la canazza.
“La canazza?!”
“Certo! Assodato che il principio fondamentale dell’essere umano (siracusani compresi) lo possiamo riassumere nella massima “’u cummanàri è megghiu d’o fùttiri”, bisogna comprendere subito da che parte stare, se dalla parte della massima, per così dire, o dalla parte di chi ambisce ad essere amato, perché altrimenti si finisce per trasgredire la prima regola del Teorema di Dionisio.”
“Onorevole… conoscevo Pitagora ed Euclide, Thomas, Godel, persino Bell, ma Dionisio!?”
L’Onorevole comprende che quello sarà un pomeriggio faticoso. Per un’oretta almeno dovrà ricacciare indietro la canazza.
“Vieni con me, scendiamo alla Marina”
La stradina che costeggia la Fontana dei papiri è deserta a quest’ora, i grandi alberi del giardino Aretusa sembrano voler proteggere le confidenze dei due amici dal rischio d’arrivare ad orecchie indiscrete.
“Dionisio il Grande era un tipo molto pratico: con una serie di fortunate campagne militari e con un’opera diplomatica accorta, fece della città aretusea una potenza internazionale che non aveva uguali nel mondo mediterraneo di allora, e nel frattempo badava a far bella la città con grandi e bellissime opere pubbliche. Ma Dionisio poneva anche molta attenzione nell’eliminare le opposizioni con tutti i mezzi possibili, fra i quali, ovviamente, non erano affatto esclusi quelli violenti. Insomma si comportò nel modo usuale di tutti i dittatori del mondo e di ogni tempo, contribuendo notevolmente a dare alla parola Tiranno quel senso negativo che ha ora per noi e che prima non aveva. Come sai bene, i dittatori sono appassionati sostenitori del principio u cumannàri è megghiu d’o fùttiri, ed inoltre hanno il pallino, l’ingenua mania, di voler essere amati da coloro su cui comandano. E tanto ci tengono, ad essere amati, che dedicano una parte cospicua del loro tempo e della loro attività al tentativo di sapere con assoluta precisione se ogni singolo cittadino li ama e quanto li ama. I moderni dittatori ricorrono in modo ossessivo ai sondaggi, ma gli antichi, non disponendo di questo moderno ritrovato, non potevano far altro che rivolgersi a volenterosi giovanotti che andavano in giro per le strade e per le osterie a chiedere alla gente:<<Scusi, lei ama il nostro beneamato capo?>>, provvedendo poi a togliere di mezzo sollecitamente tutti quelli che erano stati così fessi da dire di no. Dioniso però non riusciva a fidarsi del tutto di indagini condotte in modo così rozzo, ed allora un giorno indossò un abito semplice ed uscì da una porticina del palazzo per girovagare e catturare, chiacchierando con questo e con quello, i segreti umori del suo popolo.
Durante uno dei suoi giri, in un caldo giorno di piena estate, avvenne che il Tiranno entrasse nella riposante penombra del tempio consacrato ad Atena e notò subito una vecchietta prostrata, intenta a pregare con grande trasporto a mezza voce. Dionisio si avvicinò e si mise in ascolto.
La vecchia stava facendo ad Atena un discorso molto serio, in cui la implorava, in cambio di eterna devozione e fioretti copiosi, di concedere lunga vita e immensa prosperità ed ogni fortuna possibile al tiranno Dionisio. Ovviamente, al sentire l’argomento della preghiera, Dionisio acuì la sua attenzione, ammirato dalla commossa sincerità, e quando la vecchia finì le chiese:
<<Buona donna scusatemi, io non ho potuto fare a meno di sentire che stavate pregando per il nostro buon tiranno, e mi ha colpito il trasporto con cui lo facevate. Come mai? Siete forse una sua parente? Vi ha esentato dal pagamento delle tasse? >> La vecchia lo guardò di sottecchi e poi rispose: <<Figlio mio, io sono molto vecchia e molto stanca, e ho avuto molte sventure in vita mia, tanto che ora sono povera e sola al mondo, e nella mia lunga vita ho visto salire al potere molti tiranni, e ho visto ciascuno di loro compiere nefandezze e furti e violenze, e per ciascuno di loro ho pregato che morisse presto. Ma quando le mie preghiere venivano esaudite ed un nuovo tiranno prendeva il posto del vecchio, non solo non venivano riparati i torti precedenti, ma nuove nefandezze si aggiungevano alle vecchie. Perciò figlio mio, dato che questo tiranno Dionisio non è sfuggito alla regola di essere peggiore di tutti i suoi predecessori, figuriamoci come potrà essere il prossimo…>> Hai capito, caro Sindaco?
L’affresco che sul calar della sera s’offre agli ammiratori del tramonto di Cicerone, è compiuto. Il rosso sembra arricchirsi ogni giorno di nuove gradazioni e sfumature, e neanche oggi ha deluso le attese di donne e uomini di Archimede. Lo sguardo di ciascuno di loro conterrà quei colori per ore, e ne dispenserà preziosi frammenti a forma di pezzetti di anima, a chiunque incrocerà i loro occhi.
“Non si sa come abbia reagito Dionisio al discorso della vecchietta. Sicuramente fece tesoro della lezione, tanto che regnò ancora per molti anni e poi si ritirò a vita privata ad Atene, dove si godette le sue immense ricchezze fino a tardissima età, lasciando il trono e le ansie del potere a Dionisio il Giovane, suo figlio.”
Il sole è sparito dietro gli Iblei, il Sindaco guarda il volto dell’Onorevole che non ha alcuna ragione di aggiungere altro. Dopo un lungo minuto trascorso a sfiorare il mare con gli occhi, il Sindaco volge ancora lo sguardo verso il suo amico, e:
“…e Lo Curzio, Lo Curzio come sta? Come sta?”
di Bruno Formosa
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