Se avete a disposizione uno o due giorni voglio suggerirvi un interessante itinerario, lungo la costa jonica tra Taormina e Messina, alla scoperta di tre splendide chiese edificate durante la dominazione normanna.
Intrise di influssi romanici, bizantini, e arabi, le chiese rappresentano importanti espressioni della presenza spirituale del monachesimo basiliano in Sicilia. I primi monaci di rito greco si trasferirono dall’oriente, nelle provincie meridionali d’Italia, già nel VII secolo, sotto l’incalzare dei musulmani ma soprattutto dopo il clima di persecuzione che segui all’editto del 726, dell’imperatore Leone III, con il quale si ordinava la distruzione delle immagini sacre e delle icone in tutte le province dell’impero (iconoclastia). Quando, dopo la dominazione araba della Sicilia, i normanni conquistarono l’isola tutelarono i centri spirituali basiliani superstiti e, con ricche donazioni, favorirono la fondazione di nuovi.
La Chiesa di Santa Maria a Milì San Pietro (frazione di Messina) è menzionata in un documento in greco del 1092 da cui risulta che il granconte Ruggero in quell’anno vi seppellì il figlio Giordano, morto a Siracusa. Sorta nei pressi del torrente Milì ed accompagnata dai caseggiati del monastero, disposti a differenti livelli, essa ha il suo accesso attraverso una ripida scala che parte dalla strada provinciale. La chiesa si sviluppa su una pianta ad unica navata con presbiterio tripartito, ben sottolineato da tre archi a sesto acuto. La campata centrale, conclusa da un’abside semicircolare, è coperta da una cupola a calotta che poggia sul tamburo ottagonale tramite trombe angolari a tronco di cono. Due nicchie scavate nello spessore murario e coperte da una cupoletta, chiudono le modeste campate laterali. L’aula, il cui corpo è stato sensibilmente prolungato nel corso del XVI secolo con la conseguenza dell’abbattimento della facciata originaria, è coperta da un tetto ligneo. I paramenti murari esterni, sia laterali che absidali, alternano mattoni laterizi alla pietra calcarea. La zona superiore del lato meridionale presenta un’ordinata successione di vani dotati di ghiere a rincasso alternativamente ciechi e luciferi.
Il monastero dei Santi Pietro e Paolo d’Itala fu fondato da Ruggero d’Altavilla nel dicembre 1092, probabilmente in una zona in cui si era svolta una dura battaglia con numerosi caduti.
“Davanti a me ti presentasti Tu, venerabile Gerasimo e, udita la tua petizione, ti diedi e concessi, in questa isola di Sicilia, occasione et causa di edificare una Chiesa e un Monastero dedicato al Santo Corifeo Apostolo Pietro, nel casale nominato di Gitala. Nel predetto Monastero, dedicato al Principe degli Apostoli, devesi celebrare il culto divino, nella forma e tradizione in uso nella stessa isola di Sicilia”
Nonostante già dal 1131 fu posto alle dipendenze dall’Archimandriato del SS. Salvatore in “linguae phari” di Messina, nel corso del Trecento era ancora considerato un monastero fiorente e ricco. Nel 1398 il suo abate, investito del titolo di Barone di Alì e Itala, occupava un seggio del braccio ecclesiastico del parlamento siciliano. La chiesa si caratterizza per il tradizionale impianto basilicale a tre navate suddivise in quattro campate da arcate ogivali che si slanciano dalla base di capitelli a forma di campana su cui sono scolpiti dei vegetali secondo uno stile caratteristico delle decorazioni islamiche. Agli inizi del ‘900, viste le fatiscenti condizioni, rischiò di essere demolita. Restaurata nel 1925, originali rimangono l’impianto basilicale, la facciata e i prospetti laterali riccamente decorati con elaborati archi in mattoni a tutto sesto intrecciati che formano archi a sesto acuto trilobato.
Foto di Marco Monterosso
La data di fondazione della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo d’Agrò a Casalvecchio Siculo, risulta da un atto di donazione di Ruggero II, datato 1117. Nell’atto, come era consuetudine, il nascente monastero venne dotato anche di un cospicuo territorio, e dei “villani” in esso contenuti, in modo da garantirne il sostentamento. A causa del fortissimo terremoto del 1169 la chiesa fu ristrutturata e rinnovata già nel 1172 come si legge dall’iscrizione in greco antico posta sull’architrave della porta d’ingresso:
“Fu rinnovato questo tempio dei SS. Apostoli Pietro e Paolo da Teostericto Abate di Taormina, a sue spese. Possa Iddio ricordarlo. Nell’anno 6680. Il capomastro Gherardo il Franco”
Da quel restauro la chiesa non subì altre modifiche ed è giunta a noi praticamente intatta, al contrario del vicino monastero di cui rimangono solo pochi resti e qualche edificio recentemente restaurato. Ha l’aspetto di una chiesa fortificata con il classico orientamento della parte absidale ad est. Il suo aspetto ed il coronamento di merli indicano la funzione di fortezza che sostenne nei secoli. L’architettura della chiesa è uno squisito lavoro di sintesi, un fantasioso amalgama stilistico che fonde insieme elementi disparati: verticalismo nordico e decorazione bizantina, stereometria araba e pittoricismo basiliano, in una mirabile trasposizione culturale. L’opera muraria esterna è fortemente caratterizzata dall’alternanza di fasce di mattoni, arenaria, calcare e pietra lavica. L’interno è invece assolutamente austero, non essendo presente alcuna decorazione o affresco con i muri completamente spogli. Il convento restò operoso sino al 1794 quando i monaci si traferirono a Messina, nel convento dei PP. Domenicani di S. Girolamo.
Foto e fonti: ICCD, Itinerari culturali del medioevo siciliano, Le chiese basiliane
© E' VIETATA LA RIPRODUZIONE - TUTTI I DIRITTI RISERVATI