Si trova a pochi chilometri da Siracusa, in contrada Tremilia, tra i fertili campi a ridosso delle balze dell’Epipoli.
Le origini del possesso di Sinerchia da parte dei vescovi siracusani risalgono al 1093 quando, nel ricostituire le diocesi eclissatesi durante la dominazione araba, Ruggero d’Altavilla, assegnò quella siracusana al provenzale Ruggero. Le terre di Sinerchia, insieme a quelle di Tremilia, Cifali, Cavasecca e Isola, garantendo il sostentamento personale del vescovo siracusano, rimasero per oltre sette secoli di proprietà ecclesiastica.
Nonostante il prevalere di una conduzione di tipo assenteistica, preferendosi concedere le terre al fine di ricavarne una rendita, Sinerchia e Tremilia, probabilmente per la loro fertilità e per la buona disponibilità di risorse idriche, furono particolare curate da parte dagli amministratori diocesani.
Agli inizi del XVII secolo a Tremilia, su iniziativa del vescovo Giuseppe Saladino (1604-1611), fu impiantata una pioneristica coltivazione di canna da zucchero.
Il patrimonio fondiario dei vescovi siracusani, rimasto quasi intatto nel corso dei secoli, agli inizi del XIX secolo, iniziò ad essere sensibilmente intaccato dalle concessioni enfiteutiche imposte dalla legislazione eversiva dell’asse ecclesiastico.
Nel 1803 il grande possedimento di Tremilia, che fino ad allora aveva garantito i maggiori cespiti fondiari della diocesi, fu concesso all’imprenditore inglese Francesco Leckie.
Il 3 Luglio 1853 fu eletto al soglio episcopale siracusano monsignor Angelo Robino. Il vescovo, originario di Salemi, l’ultimo prelato siracusano a godere direttamente dei proventi delle terre di Sinerchia, è ricordato dalla storiografia per aver arricchito, con notevoli spese, la cattedrale e il palazzo arcivescovile, in parte occupato da una guarnigione militare.
Il pastore siracusano, seppur come riportato dal Privitera (Storia di Siracusa antica e moderna, Napoli, 1878) ”Cospicua e bella persona, di cuore quanto pio altrettanto largo e generoso” non seppe sottrarsi dal nominare quale procuratore generale dei beni ecclesiastici della diocesi, il fratello Pietro che lo aveva seguito a Siracusa.
Monsignor Robino, innamoratosi della ridente campagna di Sinerchia amava trascorrervi lunghi periodi e ancora oggi la sua presenza è testimoniata da una piccola cappella in cui il fratello fece apporre il suo stemma episcopale.
La masseria, che non presenta caratteristiche architettoniche particolarmente ricercate, ha una pianta quadrangolare con un prospetto principale lungo 37 mt e lati di 25 mt. Nel piano terra si riversano attorno al cortile (baglio) vari magazzini, stalle e altri locali di servizio, hanno invece accesso esterno un grande frantoio e un palmento. Nel piano rialzato si trovano le abitazioni padronali e la cappella.
In virtù della carica ricoperta Pietro Robino fu per circa un decennio il principale conduttore del possedimento di Sinerchia, fino a divenirne proprietario dopo che, nel 1866, le leggi del novello Regno d’Italia decretarono l’alienazione forzata dei beni ecclesiastici.
Lo stesso anno che ne entrò formalmente in possesso Pietro Robino volle suggellare tale acquisizione facendo apporre a Sinerchia una lapide che riportava la seguente iscrizione:
In realtà quella di Pietro Robino non fu una vera nuova erezione, tutto al più un’ampia ristrutturazione, ma in ogni caso doveva essere importante per lui poter affermare che, da quel momento, la proprietà di Sinerchia si sarebbe trasferita tramite il suo asse ereditario.
Nonostante la morte del fratello vescovo, il 27 Agosto 1868, Pietro decise infatti di rimanere a Siracusa, dove continuò ad esercitare una certa influenza sulla scena politica ed economica locale, fino all’inizio del nuovo secolo.
La casa del vescovo, ancora oggi utilizzata come deposito di prodotti e macchine agricole, presenta alcuni vani alquanto degradati ma, nel complesso, è ancora possibile coglierne l’antico aspetto e prestigio.
di Marco Monterosso
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