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La torre Landolina

di Marco Monterosso
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A pochi chilometri da Siracusa, percorrendo la strada regionale Cozzo Pantano-Ponte di Pietra, in contrada Laganelli, svetta la Torre Landolina.

Il toponimo Laganelli, sembra derivi dalla parola greca ἁγνός (hagnós) da cui agnocasto, pianta lacustre conosciuta in erboristeria per le sue proprietà inibitrici degli stimoli sessuali, in siciliano detta “Lignu castu” e nel siracusano come “Làcanu”.

Secondo Giuseppe Agnello (Le torri costiere di Siracusa nella lotta anticorsara, in “Archivio Storico Siracusano”, 1971) la torre Landolina rappresentava, insieme ad altre costruzioni fortificate esistenti lungo il litorale siracusano, l’ossatura del sistema difensivo suburbano. Certamente preesistente al terremoto del 1693, dovette essere ricostruita dalle fondamenta, molto probabilmente sulla medesima pianta.

Nel 1705 la Regia Corte, a cui il tenimento era probabilmente giunto dopo essere stato dei gesuiti, vendette Laganelli a tale Isidoro Terrana che, avendo acquistato il bene con la clausola “pro persona nominanda”, l’anno successivo trasferì la proprietà a Diego Catalano che nel 1704-1705 era “capitano di giustizia” di Siracusa.

La data “1712” incisa nel muro della piccola chiesa vicino alla torre avvalora la tesi della ricostruzione settecentesca avanzata da Agnello. Si presume che nello stesso periodo fu costruito anche il muro di protezione che circonda l‘intero complesso e sui cui svetta, nella chiave di volta del portale d’ingresso, lo stemma dei Catalano a cui si devono i primi lavori di ricostruzione post sisma.

L’elegante torre, avente pianta quadrata di 6,65 metri ed un’altezza di 13,45 metri, svetta oggi all’interno di un’ampia corte acciottolata che raduna attorno a sé i bassi edifici destinati alle esigenze agrarie del fondo: le abitazioni dei lavoranti, le stalle, il trappeto, diversi depositi e una piccola e sobria chiesetta.

La torre Landolina

Nel 1735 la proprietà fu ereditata dal figlio di Diego Catalano di nome Filippo che, nel 1759, trasferì Laganelli, quale dotale di nozze, alla figlia Francesca andata in sposa a Francesco Saverio Landolina. Il Landolina, eccelsa figura di studioso, Soprintendente dei Valli di Noto e Demone e fondatore del museo archeologico diocesano, poi divenuto cittadino, fu uno dei primi studiosi dei problemi del papiro. L’erudito siracusano amava trascorrere a Laganelli, forse anche per trovarsi vicino ai luoghi in cui cresceva il papiro, lunghi periodi in cui non mancava però di interessarsi della conduzione delle sue terre.

Nel 1798 Francesca Catalano, formalmente ancora proprietaria, donò Laganelli al figlio Mario per il suo matrimonio con Maria Fardella. Il giovane don Mario, che aveva seguito le orme paterne nelle scienze e nel mecenatismo, insieme al padre si interessò attivamente della sua proprietà, avviando a partire dal 1804 importanti lavori che riguardarono anche la torre allora considerata “in stato cadente”.

Da una perizia redatta nel 1814, alla morte di Saverio Landolina, sappiamo che i lavori intrapresi da Francesco avevano riguardato: “un trappeto interamente nuovo, due riposti nuovi, ed un magazzino ugualmente nuovo nel quale conservare le giare e l‘olio; un cortile per il libero arbitrio del trappeto, una stalla e tre case nuove con selciato. Inoltre sono state eseguite significanti riparazioni ad una torre in tale fondo esistente, resa così abitabile dallo stato cadente in cui si trova, ed una scala di pietra tutta nuova. Ristorazioni nelle case di tale fondo, una pennata grande per il ricovero del bestiame ed un‘ altra per il ricovero del bestiame con selciato; palmenti di pietra, un pozzo fatto interamente nuovo ed altri tre rinnovati. Due beveratoi di pietra grandi per bestiame ed altro, una piscina o conserva d‘ acqua ecc…”

Nel 1827 le terre di Laganelli passarono ad una figlia di Mario Landolina di nome Francesca moglie del cav. Vincenzo Interlandi e da questa al figlio Giacomo che non generando prole trasferì nel 1901 la proprietà, estesa a quel tempo 107 salme (circa 187 ettari) e valutata 70.000 Lire, ai nipoti Pizzuto.

di Marco Monterosso

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