Risalgono alla fine del Duecento le più antiche notizie sul feudo siracusano di Maeggio che nel 1292 fu trasferito, per via testamentaria, da Giovanni de Ferula al figlio Lando. (L. Lombardo – P. La Rocca, De Ferula. Storia di una famiglia ribelle, 2016) Nel 1408 il feudo, denominato Majeggi, apparteneva a Guido de Baldo, la cui famiglia nel 1490 lo trasferì, per via matrimoniale, agli Scarrozza
A metà del XVIII secolo, dopo un tortuoso percorso di vendite e riscatti tra le famiglie Alagona, Nava, Tristaino e Gayangos, Maeggio giunse nelle mani di Giovanbattista Bonanno, secondogenito del principe di Linguaglossa, che ne entrò in possesso quale marito di Saveria Landolina. Il feudo esteso 117 salme (quasi 400 ettari), comprendente i luoghi di “Cavicolli, S. Pietro a Buscica, del Giardino, dell’Acqua e della Casa di Caiazzo”, era coltivato ad oliveto, vigneto, pascolo e seminativo e, una volta frazionato, veniva generalmente concesso in gabella per quattro anni.
(A. Lippi Guidi, Masserie e vecchi manieri nel siracusano, 1990) La seconda metà del ‘700 fu un momento molto favorevole per i Bonanno di Maeggio che consolidarono sempre più il loro patrimonio esercitando anche una significativa influenza sulla scena politica siracusana. Proprietari di un “loco nel territorio della Mottava”, del feudo Delia presso Ragusa e di quote della tonnara di Santa Panagia e delle saline di Carrozzieri, come segno dell’accresciuto prestigio sociale della famiglia commissionarono nel 1781, al famoso architetto Luciano Alì, il progetto di una sontuosa dimora a Maeggio. (M.Fagiolo – L. Trigila, Il barocco in Sicilia, 1987)
L’architetto Alì, lontano dai modelli architettonici ricorrenti nelle masserie siciliane, progettò un edificio dall’aspetto solido e massiccio, avente una pianta di 32 x 22 mt.
Le rigide linee architettoniche dell’edificio sembrano alleggerirsi solo nel prospetto principale dove il primo piano, arretrato rispetto l’asse della facciata, creava una graziosa balconata che si affacciava sulla campagna circostante. Il piano terra, dotato di ampi locali, oltre ad ospitare la rimessa delle carrozze, era destinato ad alloggio del personale di servizio e come magazzino delle derrate prodotte.
Il piano superiore, a cui si accedeva mediante un’ampia scala, che portava alla balconata posta sopra il portale d’ingresso, era invece destinato ad uso abitativo dei proprietari.
Nel retro della villa, in un’area di circa 3.000 mq, si trovavano i locali destinati alla lavorazione dei prodotti coltivati nel fondo e un vasto edificio terrano, probabilmente costruito ex novo o ampliato nella seconda metà dell’800, adibito ad abitazione dei lavoranti.
Oltre ancora questi edifici, la presenza di un grande ovile e dei locali connessi alla lavorazione dei latticini, attestano che anche l’allevamento degli ovini doveva rappresentare una voce importante del bilancio produttivo di Maeggio.
Il ruolo preminente giocato dai Bonanno di Maeggio divenne particolarmente significativo a cavallo tra XVIII e XIX secolo quando misero a segno un colpo decisivo con l’elezione di Gaetano a vescovo di Siracusa nel 1802 per poi subentrare, nel 1811, all’inglese Francis Leckie nell’enfiteusi del feudo ecclesiastico di Tremilia, dove realizzeranno un’altra sontuosa dimora.
Nella prima metà del XIX secolo le sorti dei baroni di Maeggio, come quelle delle altre famiglie aristocratiche, furono però messe a dura prova dalla legislazione antifeudale promulgata dai Borbone, tra cui produsse effetti particolarmente rilevanti l’abolizione del maggiorascato, che consentiva di trasmettere le proprietà indivise al solo primogenito.
Cosi nel 1822, alla morte di Giuseppe Bonanno, il patrimonio dei Bonanno fu frazionato tra gli otto figli di questi, con il feudo di Maeggio e la villa che, divisi in tre parti, andarono per due quote al primogenito Michele ed una ad un fratello sacerdote.
Nel corso del ‘900 la progressiva diminuzione della rendita agricola, dovuta alla parcellizzazione dei patrimoni fondiari, al mancato accoglimento delle indispensabili innovazioni tecnologiche e alle nascenti rivendicazioni del ceto contadino, determinò il collasso di un sistema di produzione ritenuto oramai anacronistico.
Oggi della sontuosa villa di Maeggio, abbandonata ed in evidente stato di degrado, non resta che un vuoto simulacro di quella che fu una delle più floride aziende agricole del nostro territorio.
La dimora, da molti considerata una dei capolavori dell’architettura siciliana del Settecento, rischia di non resistere ancora per molto all’incuria del tempo e alla mano inclemente dell’uomo.
Foto di Angelo Magnano ©
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