I primi monaci cistercensi arrivarono in Sicilia quando Bernardo di Chiaravalle inviò sull’isola Ugo di Citeaux, il quale, accompagnato da altri confratelli, completò la costruzione del monastero di Vallebona a Novara di Sicilia (ME), eretto canonicamente nel 1171.
Risalgono invece alla prima metà del Duecento le prime fondazioni nel siracusano come quello di Santa Maria dell’Arco, fondato dal signore di Noto Isembardo Morengia nel 1212, tra Palazzolo e Noto e di cui abbiamo già scritto un’antica-abbazia-nelle-campagne-tra-Palazzolo-e-Noto
Del monastero di Santa Maria di Roccadia in territorio di Lentini, non conosciamo invece l’esatta data di fondazione poiché il documento più antico giunto fino a noi, del 1224, riguarda la conferma da parte di Federico II di terre e altri beni già concessi dai suoi predecessori. Non può escludersi cosi, seppur rimane allo stato solo un’ipotesi, che il monastero venne fondato, già al tempo normanno, come centro benedettino probabile filiazione di quello di Sambucina.
Nel documento del 1224 venivano concesse, all’allora abate Antonius, le grangie di S. Maria di Catharactis (presso Ragusa), S. Maria di Cantarro e S. Pietro (presso Lentini) e quella non localizzabile di Sandacina, oltre ad un tenimento di terre presso il monte Fiascone e il mulino di S. Cosma. (R. Pirri, Sicilia Sacra, vol. 1 ed. 1733) Risale invece al 1263 un atto proveniente dalla cancelleria di Manfredi di Svevia, in cui è riportata la necessità di riparare il complesso sacro, già caduto “in rovina”.
Nel documento, caratteristico del tempo, Manfredi ordinava al giustiziere del Val di Noto Umfredo Alemanno di consegnare il castello vecchio di Siracusa a Joannis de Pedelepore affinché questi, entro un anno, potesse convertire gli introiti derivanti “pro readificatione venerabilis Monasterii S. Maria de Roccadia de Ordine Cisterciensium”. (G.L. Barberi, Beneficia ecclesiastica, ed. 1963) Nel 1284 secondo il Pirri, (la notizia non appare tuttavia supportata dalle fonti) anche Pietro d’Aragona concesse beni ed immunità all’abbazia lentinese mentre nel 1287, da una lettera di papa Onorio IV, sappiamo che l’abate di Roccadia, tale Aloisio, fu incaricato di dirimere una controversia tra il monastero di S. Maria la Scala e quello di S. Maria in Valle di Giosafat a Paternò.
Nel corso del Trecento, sia per il clima di instabilità politica del regno, sia per le richieste sempre più esose della camera apostolica, la situazione patrimoniale del monastero appare fortemente critica. Se nel 1376 l’abate Pietro de Perrecca, per far fronte al sussidio cistercense dovuto alla camera apostolica, fu costretto a chiedere un prestito di 11 onze all’abbazia di Roccamadore di Tremestieri (ME), nel 1390 l’abate Antonio fu addirittura colpito da scomunica a causa delle inadempienze fiscali del suo monastero. Le difficoltà finanziarie apparvero poi insormontabili dopo che lo stesso abate, ritornato in carica, aderì alla rivolta del conte di Augusta, Guglielmo Raimondo (III) Moncada. Re Martino, nel 1397, per ritorsione, privò infatti Roccadia delle rendite della grangia di S. Maria de Catarractis, assegnandole ad un prete di Lentini, vittima della ribellione. (S. Fodale, I cistercensi nella Sicilia medievale, 1994)
Secondo il Pirri il cenobio “crollato con l’età del tempo” fu ricostruito nel 1408 da Joannes de Tharest, vescovo di Emona e abate di S. Maria dell’Arco, il quale si occupò anche di descriverne i privilegi.
Tuttavia nel 1437 l’abate Nicolò della Solfa, accusato di malversazione, venne deposto e sottoposto ad un lungo ed estenuante processo dal quale ne uscì con il riconoscimento di un vitalizio di 5 onze di cui il nuovo abate, frate Guglielmo de Sgarbo, viste le condizioni economiche dell’abbazia, chiese l’annullamento.
Fra gli ultimi abati del XV sec. si ricorda Romano Testa, la cui elezione avvenuta nel 1451 su indicazione regia, fu contestata dal pontefice che seppur indicò Giovanni Aurispa, fu successivamente costretto a cedere in ossequio al diritto dell’apostolica legazia di cui godevano, sin dal tempo normanno, i sovrani siciliani. Nel 1492 risulta invece che il governatore della camera reginale Juan Cárdenas e il figlio si appropriarono delle rendite di Roccadia, approfittando della vacanza della carica di abbate. (M. Del Popolo, L’abbazia di Santa Maria di Roccadia, in Arch. storico siracusano, S. IV, Vol. V, 2013)
A partire dal XVI secolo prevalse la prassi di concedere le abbazie in commenda, cosicché da allora i redditi prodotti dal monastero spettarono all’abbate commendatario il quale, non risiedendovi, affidava l’effettivo governo del monastero ad un procuratore, generalmente un esponente del clero locale. Nel 1558 il commendatario Ugo Moncada concesse Roccadia ai monaci benedettini tuttavia, di lì a breve, per ordine del visitatore apostolico Giacomo de Artaldo, la decisione fu annullata e i cistercensi poterono rientrare nel monastero.
A metà del XVI secolo, come si evince da un inventario dei beni posseduti dal monastero, fatto redigere dallo stesso Moncada, e pervenutaci attraverso un documento successivo, la situazione economica di Roccadia sembra essere abbastanza florida. Alla fine del Seicento il monastero godeva di un avanzo di gestione di 804 scudi (circa 320 onze), derivanti da proventi per 1770 scudi e oneri per 966.
Dalla ricognizione del visitatore De Ciocchis del 1743, quando risulta essere commendatario il palermitano Andrea Filangeri, sappiamo che non solo il monastero manteneva ancora gran parte dei possedimenti della concessione federiciana del 1224 ma che i proventi netti di Roccadia erano addirittura lievitati a ben 539 onze.
Purtroppo la storia dei Cistercensi di Roccadia è oggi solo una storia di documenti poiché non rimangono che flebilissime tracce materiali dell’antico monastero mentre di quello costruito a Carlentini dopo il terremoto del 1693, non rimane che la chiesetta settecentesca.
di Marco Monterosso
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