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Megara Iblea: incuria e desolazione in barba al Codice dei Beni Culturali

di Marco Monterosso
Megara Iblea: incuria e desolazione in barba al Codice dei Beni Culturali

Iniziamo oggi un viaggio nel patrimonio culturale della provincia di Siracusa per verificarne lo stato e gli interventi di valorizzazione

Volendo scrivere di Megara Iblea, con l’intenzione di raccontarne l’importanza dell’enorme patrimonio archeologico che ha restituito, ho voluto come sempre effettuare una visita.

Consapevole che l’antica città sorgeva in un’area oggi letteralmente sovrastata dal polo petrolchimico, mi sono approcciato al sito con la speranza di trovarvi un “enclave” in cui il nostro passato, arcaico ed ellenistico, facesse in qualche modo da contraltare ai guasti ambientali prodotti dalla zona industriale.

In realtà visitare i resti di Megara lascia in bocca un’amarezza tale che piuttosto che raccontarvi della sua pianta urbana, dei suoi monumenti e delle sue varie fasi abitative voglio riportare le mie impressioni sullo stato del sito archeologico.

Perché a prima vista sembra proprio che la distruzione di Megara prima ad opera di Gelone, poi dei Romani, continui anche oggi.

Una premessa è però d’obbligo. Secondo il Codice dei Beni Culturali «la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura» (art.1, c.2).

Sempre secondo il Codice, semplificando, ogni bene culturale dovrebbe seguire un iter che partendo da una fase di individuazione e studio, conduce alla tutela del bene per poi valorizzarlo al fine di garantirne la “pubblica fruizione”. (art. 3, c.1 e art.6, c.1)

Nel caso di Megara, nonostante le campagne di scavo dell’École française de Rome che si protraggono meritoriamente dal 1949 e l’apposizione dei primi vincoli archeologici già nel 1953, si può dire che forse non si è mai riusciti a superare la prima fase.

La situazione non sembra tra l’altro recente perché, già nel 2015, un articolo de “Il Fatto Quotidiano” aveva stigmatizzato l’incuria in cui versavano quei luoghi e parlato di “disastro complessivo”.

Ulteriore premessa. In Sicilia la competenza esclusiva in materia di BB.CC. ricade in capo all’ente regionale e il parco archeologico di “Leontinoi” istituito nel 2019, godendo di “autonomia scientifica e gestionale” (D.A. 011/GAB 2019), è in definitiva il garante ultimo non solo della tutela ma anche degli standard di valorizzazione e fruizione, del sito di Megara Iblea.

Megara Iblea: incuria e desolazione in barba al Codice dei Beni Culturali

Ma veniamo a Megara e allo stato in cui si trova (giugno 2024). Per accedere all’area archeologica occorre prima di tutto stare molto attenti ai cartelli stradali perché, nella maggior parte dei casi, sono pressoché illeggibili.

Non essendo presente un’area parcheggio, si posteggia lungo la strada di accesso che conduce alla biglietteria, una casetta rurale adattata allo scopo, con solo qualche malconcio cartello a indicarne l’uso.

Dopo aver chiamato a gran voce, un gentile custode, dietro il pagamento di 5 Euro, vi fornirà un biglietto d’ingresso con cui potrete entrare (almeno ufficialmente) nell’area archeologica delimitata da una recinzione in rete metallica molto dissestata.

Si accede alla città antica dalla porta Est ma, prima ancora di addentravi nei resti del suo tessuto urbano, sarete accolti da un primo cumulo di materiale di risulta.

Megara Iblea: incuria e desolazione in barba al Codice dei Beni Culturali

Poi, dopo aver percorso pochi passi, vi renderete conto che i resti che volevate cosi entusiasticamente visitare risultano letteralmente invasi da erbacce che in alcuni casi si sono trasformate in veri e propri arbusti che spuntano dall’interno degli stessi edifici.

Vi accorgerete anche che gran parte dei pannelli esplicativi dei singoli ambienti risultano non leggibili perché sbiaditi dal sole e molti, staccatesi dai sostegni, sono semplicemente poggiati sugli stessi resti.

Megara Iblea: incuria e desolazione in barba al Codice dei Beni Culturali

Inoltre alcune passarelle metalliche, che dovrebbero consentire un percorso di visita quantomeno razionale, sono invase dai rovi e presentano numerosi punti di marcitura del metallo e il distacco di diversi gradini.

Passando da un edificio ad una altro, pensando alle stringenti normative cui sono sottoposte le nostre attività private, avrete anche il raro privilegio di chiedervi come faccia il responsabile della sicurezza del sito a consentire ancora l’accesso del pubblico.

Megara Iblea: incuria e desolazione in barba al Codice dei Beni Culturali

Ma non finisce qui. Ai resti archeologici si sarebbe dovuto affiancare, nelle adiacenti strutture del faro del Cantera, anche un antiquarium cioè un piccolo museo in grado di poter esporre in sicurezza alcuni dei reperti rinvenuti e proporre ai visitatori un percorso esplicativo e didattico, magari in più lingue.

Inutile dire che, nonostante i fondi pubblici già impiegati per il restauro delle strutture, l’antiquarium risulta inesorabilmente chiuso.

Tra l’altro quell’area rappresenta l’unico luogo in cui un visitatore può godere quantomeno di un po’ di ombra nei mesi estivi (che magari sono quelli in cui il sito dovrebbe ospitare i turisti ?) e trovare un luogo in cui sedersi a riposare.

Ma niente da fare la visita a Megara sembra essere stata congegnata per far vivere una intensa ed ininterrotta sensazione di sofferenza del corpo e dell’anima.

Megara Iblea: incuria e desolazione in barba al Codice dei Beni Culturali

Si fa un gran parlare dei tanti siti archeologici chiusi ma c’è da chiedersi se invece non sia proprio la loro apertura, almeno in questo stato, a dover essere scongiurata. Queste condizioni non rappresentano infatti il peggior biglietto da visita possibile per dei luoghi specialissimi che, secondo il codice, dovrebbero ambire «allo sviluppo della cultura, preservando la memoria della comunità nazionale e del suo territorio» ?

Foto di Angelo Magnano©

di Marco Monterosso

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