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Guardia di finanza

Truffa Servizio Sanitario, sotto accusa tre medici a Messina

Truffa Servizio Sanitario, sotto accusa tre medici a Messina

Sequestrati oltre 65.000 euro

I Finanzieri del Comando Provinciale di Messina hanno sequestrato oltre 65.000 euro nei confronti di tre dirigenti medici in servizio presso un noto nosocomio cittadino, resisi a diverso titolo responsabili dei reati di peculato, truffa aggravata e falso in atto pubblico.

L’operazione scaturisce da una complessa indagine in materia di spesa pubblica nel comparto della sanità, coordinata dalla Procura della Repubblica di Messina, finalizzata a verificare il rispetto della disciplina dell’esercizio dell’Attività Libero Professionale Intramuraria (c.d. “ALPI”), da parte dei tre professionisti cittadini, di cui uno già raggiunto da provvedimento interdittivo lo scorso 9 settembre.

Le indagini sono state effettuate dagli specialisti in materia di spesa pubblica del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Messina, con il coordinamento del pool di magistrati della Procura della Repubblica di Messina che si occupano di contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione.

Gli accertamenti sono stati svolti attraverso l’esecuzione di plurime attività tipiche di polizia giudiziaria, quali perquisizioni, acquisizioni documentali, attività di osservazione e pedinamento, nonché articolate ricostruzioni contabili, che hanno trovato riscontro all’esito di intercettazioni telefoniche.

Gli elementi indiziari acquisiti, con riferimento a due dirigenti medici, D.F.C. cl. ’55, endocrinologo e S.S. cl. ’56, cardiologo, hanno consentito di ricostruire un solido quadro indiziario, i cui esiti – a detta del Giudice delle Indagini Preliminari – “costituiscono una sicura conferma alla sistematica attività di visite in studio privato” (non autorizzata), in quanto sono stati “trovati pazienti in attesa di essere visitati, agende e strumentazioni che comprovano la suddetta attività”.

L’operazione, peraltro proseguita in pieno periodo pandemico, rientra nell’ambito della generale intensificazione del monitoraggio del delicato comparto della sanità pubblica, ancora purtroppo fortemente impegnato nella gestione dell’attuale delicata fase di monitoraggio e gestione dei contagi e, per tale motivo, assolutamente necessitante di risorse economiche che non possono essergli sottratte a causa di comportamenti scorretti.

In sintesi, nei casi di specie, non solo sono stati contestati:

? i pagamenti ricevuti in contanti direttamente nelle mani dei medici (“oggetto del peculato” e dell’odierno sequestro preventivo);

ma anche:

-la falsità in atto pubblico per aver, in alcune circostanze, attestato visite prestate in ospedale, mentre – di fatto – i pazienti venivano ricevuti presso uno studio privato esterno al nosocomio;

-la percezione indebita della indennità aggiuntiva stipendiale c.d. “di esclusività” del rapporto d’impiego pubblico (esclusività d’impiego non onorata) e le somme percepite per quella parte di attività svolta regolarmente all’interno delle mura ospedaliere (“somme, certo indebitamente percepite, posto che gli indagati le hanno percepite violando il rapporto di esclusività”, per le quali “saranno esperibili rimedi disciplinari” in quanto “non possono dirsi oggetto di peculato”).

Per uno dei tre indagati, M.F.cl. ’69, il competente Giudice per le Indagini Preliminari ha poi ritenuto sussistente l’ipotesi di truffa aggravata ai danni dell’Ente pubblico, per la percezione dell’indennità di esclusività, avendo ingannato il datore di lavoro per non aver rispettato l’obbligo di unicità d’impiego, disponendo il sequestro delle somme percepite.

La disciplina di settore dell’ALPI, come noto, riguardante l’attività libero professionale espletata dal medico legato all’azienda pubblica da rapporto di esclusività, fuori dall’orario di lavoro, su libera scelta e su richiesta dell’assistito pagante, oltre a dover essere oggetto di espressa autorizzazione ed a determinate condizioni, prevede che l’utenza prenoti la visita tramite il Centro Unico di Prenotazione della struttura aziendale (cd. C.U.P.) e, prima dell’effettuazione della prestazione, il paziente provveda al pagamento all’ufficio ticket dell’importo dovuto, secondo apposito tariffario predeterminato dall’ospedale pubblico; a valle, il medico riceve, quindi, gli emolumenti di sua pertinenza direttamente in busta paga.

La realtà emersa dalle investigazioni, tuttavia, con riferimento ai tre destinatari della misura cautelare reale del sequestro è risultata nettamente diversa.

Nel dettaglio, i professionisti, tutti operanti all’interno del medesimo noto nosocomio cittadino, legati all’azienda sanitaria da un contratto che prevedeva un rapporto di esclusività, effettuavano visite specialistiche all’interno del reparto, richiedendo e ricevendo da una significativa platea di clienti il pagamento in contanti delle relative visite specialistiche, omettendo di rilasciare qualsiasi ricevuta fiscale, nonché di versare all’azienda sanitaria la percentuale dovuta, ovvero ricevevano i pazienti in studi privati non dichiarati al fisco.

Uno dei medici indagati giungeva, addirittura, per l’utenza che richiedeva l’emissione del documento fiscale, comunque pagando in contanti, a far effettuare la prenotazione al Centro Unico di Prenotazioni solo a posteriori, talché il nosocomio emetteva una ricevuta che riportava, inevitabilmente, una data successiva alla visita effettuata.

Proprio in ordine a tali circostanze, ritenendolo il punto nodale, è stata focalizzata l’attenzione investigativa sulle fasi gestionali delle prenotazioni delle visite, riconciliandole con la riscossione dei ticket, intervistando anche i pazienti emersi dalle indagini i quali, nella quasi totalità dei casi, confermavano di aver effettivamente versato in contanti, nelle mani dei professionisti o loro delegati, importi dagli 80 ai 150 euro, senza aver effettuato alcuna prenotazione al C.U.P. e senza ricevere, all’atto del pagamento, alcuna ricevuta delle somme pagate, quindi direttamente intascate dal medico.

In conclusione, i numerosi elementi di prova raccolti, nell’ambito di due paralleli procedimenti penali, venivano sottoposti al vaglio dei competenti Giudici del Tribunale di Messina, i quali, all’esito della complessiva valutazione, ritenevano i medesimi convergenti in termini di gravi indizi di colpevolezza (“i dati fattuali appaiono inconfutabili”), salvo diverse valutazioni giudiziarie nei successivi livelli e fermo restando il generale principio di non colpevolezza sino a sentenza passata in giudicato, così disponendo l’odierna misura cautelare reale del sequestro preventivo del profitto dell’ipotesi di reato di peculato e truffa aggravata (a seconda dei casi), per una somma complessiva di oltre 65.000 euro.

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